Читать «Сибирское воспитание» онлайн - страница 230
Николай Лилин
Ha preso la mia cartella personale e me l’ha tirata in faccia. Ho fatto in tempo a mettere le mani davanti, per parare il colpo. La cartella è finita sulle mie mani, si è aperta e i fogli si sono sparsi per tutta la stanza, sul tavolo, sul davanzale della finestra, sul pavimento.
Io stavo fermo e immobile come una statua. Lui continuava a guardarmi con odio. Poi improvvisamente ha cominciato a urlare con una voce terribile, che subito mi è sembrata la sua vera voce:
— Disgraziato! Vuoi marcire nella merda? Allora ti farò marcire nella merda! Ti mando dove non farai neanche in tempo a tirarti giù i pantaloni da quanto ti cagherai addosso, e ogni volta che ti succederà ricordati di me, ingrato! Vuoi andare a casa? Allora da oggi la tua casa sarà la brigata dei sabotatori! Li ti insegneranno che cos’è veramente la vita!
Mi urlava addosso, e io stavo li come un palo, senza muovermi, mentre dentro di me ero completamente svuotato.
Era meglio prendere le botte dagli sbirri, almeno lì sapevo benissimo dove si andava a finire, invece in questa situazione tutto mi era ignoto: avevo un’ansia enorme, perché non sapevo niente di militari, non capivo perché dovevo cagarmi addosso e soprattutto non riuscivo a ricordarmi chi erano i sabotatori…
— Fuori, fuori da qui! — mi ha indicato la porta.
Senza salutarlo ho girato i tacchi e sono uscito dal suo ufficio. Fuori mi aspettava un soldato, che mi ha fatto un saluto militare.
— Sergente Glasunov! Seguitemi, compagno! — ha detto con una voce che aveva lo stesso suono del carrello di un Kalasnikov quando manda in canna la carica.
«Un cane pulcioso è il tuo compagno», ho pensato io, ma ho detto con tono umile:
— Chiedo scusa, signor Sergente, posso usare i servizi?
Lui mi ha guardato con un’aria strana, ma non mi ha detto di no.
— Certo, giù per il corridoio e poi a destra!
Ho fatto tutto il giro, lui mi ha seguito e quando sono entrato in bagno è rimasto fuori ad aspettarmi.
Nel bagno sono salito sulla finestra in alto, e dato che non aveva le sbarre sono saltato giù senza problemi. Fuori, nel giardino dietro l’ufficio, non c’era nessuno.
«Che ’sto manicomio bruci, io me ne vado a casa…»
Pensando questo e altre cose simili ho cominciato a camminare verso l’uscita dalla base. Li la guardia mi ha bloccato. Era un soldato giovane, forse come me, molto magro e con un occhio leggermente strabico.
— Documenti!
— Non ce li ho con me, sono venuto a trovare un amico…
Il soldato mi ha guardato con sospetto.
— Mostra il tuo permesso per lasciare la base!
A quelle parole ho perso l’anima, che mi è caduta tra i piedi. Ho deciso di fare lo scemo:
— Ma che permesso, cosa dici, apri ’sta porta, devo uscire… — Sono andato verso la porta, superando il soldato, lui mi ha puntato il mitra addosso, urlando:
— Fermo о sparo!
— Ma levati! — ho risposto io, prendendo il fucile per la canna e strappandoglielo dalle mani.
Il soldato ha cercato di colpirmi in faccia con un pugno, ma mi sono difeso con il calcio del fucile. Improvvisamente da dietro qualcuno mi ha dato una forte botta in testa, ho sentito le gambe molli e la bocca secca. Ho fatto due respiri profondi, e al terzo ho perso i sensi.