Читать «Итальянский с любовью. Осада Флоренции / L"assedio di Firenze» онлайн - страница 7
Франческо Доменико Гверрацци
“O Firenze mia, dove ti porteranno questi sconsigliati? Vediamo, fratelli, di rinvenire fra noi modo che valga a salvarla dalla rovina. Accordiamoci a cacciare via i barbari che la divorano… queste immani bestie tedesche, che dalla voce e dall’aspetto non hanno niente di umano, come scriveva la buona anima del nostro messere Nicolò....”
“Padre Santo, fuori di misura piacevole riesce allo spirito nostro contristato”, – riprese a dire il Capponi, —“l’intendere la buona mente della Santità Vostra verso la patria comune… vostra madre e mia. Brevi i patti della pace e consentanei al giusto. La libertà si conservi, si restituisca il dominio, del presente reggimento nulla s’innuovi”.
“Libertà!” – interruppe il Pontefice a mano a mano infervorandosi nel dire: “e parvi libertà questa dove senza ragione parte dei cittadini s’imprigionano, molti più si perseguitano, alcuni si mettono crudelissimamente a morte? Vi sembrano modi civili ardere il palazzo Salviati a Montughi, ardere il nostro a Careggi, proporre di spianare l’altro a Firenze e farci una piazza in vituperio della casa Medici chiamata dei Muli? Ditemi si ì onesto e ordinato quando nella città i più tristie senza pena penetrano nei tempi di Dio, le immagini votive dei miei maggiori riducono in pezzi, me tamburano e vogliono dichiarare ribelle, me vicario di Cristo appiccano in casa Cosimino? Non parliamo di questo. Or via, nobili uomini, alsoltatemi: io voglio avere un reggimento Firenze dove, senza offendere la libertà, uno della mia famiglia, o Ippolito o Alessandro, sia considerato come principale cittadino, voi altri ottimati della città gli componiate un senato il quale insieme con lui attenda alle pubbliche bisogne. Poichì le fortune e la virtù di per sì stesse distinguono l’uomo e il cittadino della povertà e dalla ignoranza, sanzioniamo con legge quanto apparisce necessità di natura”.
“I padri nostri si legarono una volta, combatterono i
Clemente soprastette alquanto prima di rispondere, imperciocchì vedeva ogni arte riuscirgli meno; finalmente, tenendo la faccia dimessa a terra favellò:
“Rimettetevi dunque nelle mie braccia: io mi comporterò con voi non come sudditi ribelli, ma come figliuoli traviati.”
Iacopo Guicciardini, sentendosi divampare il sangue, l’ira prorompergli dai precordi, gridò: “Sudditi ribelli! Alla croce di Dio, da quando in qua siete voi re di Firenze, Giulio dei Medici? Cristo solo governa come principe la nostra città.... Aprite, Giulio, l’animo vostro intero. Ormai non ingannate nessuno, nì uomini nì santi. Voi intendete assoluto signore dominare su Firenze. Voi vorreste che le nostre teste siano scalini per salire sul trono e quindi le prime ad essere calpestate. Portiamo via, liberi uomini, da questa reggia, che non ci subisse sul capo, dacchì l’ira di Dio ci gravita sopra. Fin qui le preghiere e gli scongiuri furono carità patria, adesso sarebbero turpitudine e miseria. Il David del Buonarotti si moverà prima a difendervi che il cuore di questo Filisteo si ammolisca. Venite a giurare nella chiesa di Santa Maria del Fiore di liberare la patria o seppellirci sotto le rovine di lei”. E concitato lo sdegno, da dolore e da impeto inestimabile, pone la mano sul battente della porta per uscire.